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giovedì 18 agosto 2011 alle 18:29

LA LUNGA ATTESA DELL'ANGELO di Melania G.Mazzucco

Consiglio per una interessante lettura, anche sotto l'ombrellone:

 

Bellissimo libro di una scrittrice che sa scrivere direttamente al cuore del lettore. Una biografia dell’interiore. Si arriva all’ultima pagina con la speranza che  non finisca mai e, dopo l’ultimo punto, si rimane a lungo estasiati ed immersi nella magia creata dalla Mazzucco.
Importante in questi momenti aver la possibilità di poter fermare il tempo e continuare l’opera dell’autrice, a proprio modo, nella povertà della propria scrittura, nel tentativo di mantenere vivo il feeling creatosi.
Inizialmente si intraprende la lettura nella convinzione che sia una semplice biografia romanzata di Tintoretto. Invece, si scopre che si tratta anche di un libro pieno d’amore. L’autrice riesce a trasmettere i sentimenti fino a farli diventare propri al lettore.
Leggendo questo romanzo ci si rende anche conto di quanto le classiche biografie, spesso, risultino fredde agli occhi del lettore sentimentale. Sono da intendersi esclusivamente come fonti di ricerca o per approfondimenti puramente didattici. Questo è il libro per gli eterni innamorati, come me, che sono  sempre alla ricerca di emozioni e sentimenti.  La scrittrice scrive in prima persona, come se lei stessa fosse il Tintoretto. Può sembrare inganno. Tutto ciò che fa’ raccontare a Tintoretto è ciò che la Mazzucco ha rubato a questo genio del passato attraverso i suoi quadri. Questo libro alimenta  tre menti. Quella del pittore che trasmette emozioni attraverso i propri dipinti alla scrittrice che se li fa’ propri e che a sua volta li trasmette alla terza mente, quella del lettore, donando forti sensazioni di bellezza e grande amore che solo la fusione di due grandi estrosità, anche se diverse, come quella del Tintoretto e della Mazzucco, possono creare. E’ un Tintoretto morente che racconta il proprio passato. Rivive nel delirio della febbre la voglia di emergere, attraverso la pittura, senza accettare compromessi. E’ un ricordare la propria vita anche attraverso un esame di coscienza. Un tentativo di espiare le proprie colpe e debolezze. Scandagliare il proprio passato, da una diversa visuale, consapevoli di non avere altro futuro se non il ricordo del proprio passato.  Bellissimo il modo in cui la Mazzucco è riuscita ad entrare nell’animo di un Tintoretto morente: gli fa’ raccontare le sue grandi passioni, la pittura, ma anche di sua figlia, Marietta la Tintoretta. Questa figura femminile che appare in ogni pagina, è stato il vero grande amore di Tintoretto. Corrisposto. Padre e figlia: un amore proibito ma così forte e così pulito da non scandalizzare il lettore. Non c’è incesto, è solo sentimento. Puro, forte, vero.
Mazzucco diventa Tintoretto:
“...nel mio studio, sul cavalletto trovai la DEPOSIZIONE NEL SEPOLCRO che mi aspettava. Ormai non c’era niente che potessi fare: quel dipinto era finito. E’ deludente il momento in cui scopri che la tua opera non ti appartiene più. Che non è affatto ciò che doveva essere - non è nemmeno la brutta copia delle tue intenzioni - ma che non potrà mai essere nient’altro. Quando cominci a lavorare, da giovane, parti con tante speranze - libero ed incosciente. Sei incalzato dal desiderio, pungolato dal furore, incoraggiato dal capriccio. Creare ti è naturale come respirare. L’abbondanza della materia ti seduce, la tua energia ti rassicura. Poi però viene la necessità di vivere. Creare diventa indispensabile e insieme ovvio, come evacuare. Il peso sconosciuto della zavorra comincia ad impacciarti, ad avvelenarti, a mutare l’amore in abitudine. Ma se resisti, se non tradisci ciò per cui ti senti nato, se sopravvivi, arriva la pazzia, il fumo e la presunzione di sapere. Prima o poi, però, ti accorgi che il viaggio è finito e ti ritrovi sulla riva da cui sei partito. Se sei un uomo  e non una zampogna gonfia di vento, non resta che la silenziosa consapevolezza del fallimento...” Facile innamorarsi di queste parole. Molte sono le riflessioni che istintivamente nascono nel prosieguo del libro. Un pittore è come un mago che trasforma le proprie emozioni in colore, così come gli scrittori le trasformano in parole e frasi. Tutti noi non dobbiamo sopprimere le nostre emozioni e passioni. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di trasformare le emozioni in colore, frasi, azioni.
“... A trentasei anni, l’idea che dipingendo, io potessi raggiungere ciò che avevo sempre sognato mi era diventata familiare e questa convinzone, allora, mi inebriava. Perdonami, Signore. Perdonami se c’è stato un momento in cui mi pareva che il futuro fosse nelle mie mani - in cui mi sono creduto onnipotente e felice. La mia unica preoccupazione era di trovare il modo e il luogo in cui realizzare ciò che fermentava dentro di me. Per questo imparavo a essere veloce come il fulmine, pronto a catturare ogni occasione, ogni istante. Quella condizione di creativa allegria è ciò che chiamano libertà...”
Quando l’estro, la vitalità trova spazio. Quando l’individuo trova sbocco nella propria vitalità, tutto ci sembra niente al confronto della nostra esigenza di far uscire la creatività. Ci si sente inaffondabili. Tutto il nostro interiore è in nostro possesso. Il nostro interiore è il nostro mondo. Possessori del mondo. Onnipotenti. Quello che gli altri chiamano arroganza non è altro che una necessità di prendere coscienza del nostro potenziale. “Arrogandolo” agli altri, lo confermiamo a noi stessi, anche se prima non lo credevamo possibile.
Il pittore vede gli uomini attraverso gli occhi della sua pittura. Guarda il volto e già pregusta, immagina come risulterà sulla tela. Già visualizza le pennellate, i movimenti, i colori. Tintoretto sa guardare intimamente nelle persone e nei suoi dipinti traspare questa intimità.
Si intuisce comunque che il libro è stato scritto con la mentalità dei giorni nostri. Oppure i pensieri, le convinzioni non hanno età? Si scopre il mondo sommerso e nascosto. La scienza, la medicina e le tecnologie si evolvono a velocità incredibile, ma l’uomo, la mentalità dell’uomo rimane ai tempi primordiali? All’era del buio? Tintoretto ha amato molto. Non sempre nel modo “giusto”. Ha pure sofferto molto. La morte dei figli lo portavano a ritenere un gesto caritatevole verso la figura del padre, l’usanza di un popolo africano che tiene lontano, dai padri, i figli fino ai cinque anni, perché accuditi ed eventualmente sepolti solo dalle madri. Solo dopo i cinque anni, quando si ha la certezza che vivranno, vengono mostrati a chi li ha generati. “... perché affezionarsi a qualcuno che deve morire?...” A volte si potrebbe pensare che Marietta (la Tintoretta) sia opera di fantasia del pittore stesso.  Una sua duplice personalità. Lui ama sé stesso in modo sviscerato. Marietta  è  sé stesso.
“...Non c’è mai abbastanza luce o abbastanza tenebre, mai troppe figure o troppo poche...” Per un artista, sia esso pittore, scultore o scrittore, il troppo non esiste. Può piacere o no. Il giudizio è degli altri, ma l’opera è sua. In una lunga vita le opere non sono uguali. Ogni periodo ha il proprio colore, tono, la propria identità.
“...Non mi amareggia la perplessità dei mercanti o dei miei clienti, ma sapere che tutto ciò che ho appreso, lo porterò via con me.” L’arte è dentro il pittore. Lascia i dipinti ai posteri, ma il sapere dell’arte rimane perennemente suo.
“...oggi sono il figlio e l’allievo di me stesso. Mi sono messo al mondo da me …” Tintoretto è stato rifiutato da Tiziano. Ha avuti molti maestri, ma con tecniche pittoriche discordanti. Tale confusione in tale artista è diventata genialità, pittura.
“...Ho rubato qualcosa ad ognuno - a chi uno scorcio, a chi il colore di un cielo... Ho imparato prima ad essere loro, poi ad essere me stesso”.
Nelle mie scritture non devo temere di rubare idee da ciò che leggo. Il furto di cui mi colpevolizzo, non è punibile. Anche io rubo per essere me stessa. Ognuno di noi è un pezzo rubato a qualcun altro. Siamo veramente noi stessi?
“...Ho appreso dalle loro scoperte - perché non ho mai l’arroganza di credere di poter esistere senza coloro che sono venuti prima di me...”
E’ la Mazzucco stessa che, attribuendoli a Tintoretto, scrive i propri pensieri.
E’ una scrittrice. Ciò che scrive di Tintoretto sono pensieri propri. Comuni a tutti gli artisti. Buttar fuori ciò che si ha nell’animo. Stupire il mondo. Emergere dalla massa.
“...ma cos’è l’arte se resta una chimera nella testa di chi la sogna...?”
“...giovani pittori fiamminghi greci e tedeschi hanno attraversato regni sconvolti dalla peste e dalla guerra per venire a farmi da assistenti. Si sono accontentati di mangiare una volta al giorno, per imparare da me... ...A Venezia sono rimasto uno fra i tanti. Mi posponevano a Tiziano finché è stato vivo, a Jacopo da Bassano e Paolo Veronese poi, perfino al Palma che potrebbe essermi figlio...Mi hanno chiamato sempre per ultimo e mai per qualcosa di importante...”Nemo propheta in patria.  Dentro di sé si sente artista portentoso e geniale, ma di fronte agli altri arriva l’insicurezza. Teme o forse ne è sicuro, che lo vogliano perché è l’unico rimasto in vita. Sembra strano leggere di quanti sacrifici e di quanto possa essere denigrato anche un artista che diventerà genio. Eppure parla di Tiziano, Michelangelo e di altri pittori famosi. E’ il carattere, è la fortuna di conoscere persone giuste, che fa’ l’uomo vincente o è veramente il suo operato? Perché Tintoretto è così apprezzato ora, ma non durante la sua vita? Era lui che rifuggiva i canoni della notorietà? La contraddizione nella propria autostima.Reputarsi genio temendo l’indifferenza altrui.
“...La verità e la bellezza non sono delle cose, non sono nel mondo, ma nel profondo di noi, in quella parte nascosta che non sarà mai conosciuta, ma che deve essere liberata...”
“...E’ stato allora che l’ho finita per lui...” Bello vedere i quadri conoscendone il motivo per il quale sono stati dipinti ma ancora più bello se questo motivo è psicologico. Lo fa’ apprezzare di più. Entri in simbiosi col pittore.

by Tiziana il giovedì 18 agosto 2011 alle 18:29 Commenti ( 2 )



  

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